Saturday, July 24, 2010

I fantasmi di Salta – The Ghosts of Salta (5-7.7.2010)














Salta è stata fondata dagli spagnoli nel 1582, in un'area già abitata da popolazioni autoctone in contatto con gli Inca. La città occupa una vasto altopiano a circa 1100 metri di altitudine, interamente circondato da montagne, che la chiudono quasi come i colli di Roma. Dal Cerro di San Bernardo, a circa 1300-1400 metri di altezza è possibile dominare il centro urbano, e scoprirne la struttura regolare, a vie parallele ed ortogonali, come un antico castrum romano, che segue l'originario tracciato dei fondatori. Salta era stata fondata per volere della corona spagnola per servire come stazione intermediaria tra Potosì, nell'odierna Bolivia, un tempo sede di ricchissime miniere d'argento ed oro, e la costa. Al tempo stesso, Salta e la sua regione, per il clima particolarmente favorevole, forniva alla città mineraria derrate alimentari.
Se la città ha conservato ampiamente la sua struttura urbanistica originaria, così non è per i suoi edifici, che hanno subito nel corso dei secoli l'azione dei distruttivi terremoti. Gran parte della città mostra un'edilizia sviluppatasi dalla fine del Settecento, ed anche le più antiche fabbriche, come la chiesa di San Francesco, o la cattedrale, sono state interamente ricostruite in stile barocco neoclassico nel corso del XVIII e XIX secolo. Le case, tuttavia, hanno in parte conservato l'antica struttura, che le rende simili a quelle del sud della Spagna, con ampi cortili interni, attorno ai quali si sviluppavano gli ambienti residenziali. Proprio questa è la struttura del mio ostello, con un ampio e bellissimo patio come nelle antiche case andaluse, dove mi godo all'aperto colazioni e cene. Perché, anche se è inverno, e siamo in montagna, nelle zone subtropicali, il sole è caldo, e fa freddo solo di notte.
Passeggiando per le vie del centro, ciò che colpisce è l'intensa vitalità. La città non è un oleografico luna park, ma un pittoresco misto tra tradizione che resiste e moderno che avanza... e fin'ora la vecchia città tiene duro, anche nella sua suggestiva decadenza.
Il mercato centrale, come tutti i mercati delle città del nord dell'Argentina, merita di essere scoperto. Le bancarelle di frutta sono coloratissime e competono con quelle di spezie, assai simili a quelle dei bazar orientali, con le preziose polveri disposte in sacchi o contenitori aperti. Al piano rialzato, vi sono come delle tavole calde, dove è possibile mangiare cibi tipici ed estremamente economici (al diavolo l'igiene euro-nordamericano). Mi sorprende la presenza delle cosiddette ragazze buttadentro. Le giovani cameriere, quasi ti spingono a forza dentro il loro stand, e competono tra di loro. Mi faccio vincere da una delle più belle, e do il via libera agli esperimenti gastronomici. Le empanadas non sono particolarmente difficili da comprendere e digerire. Sono pasta di pane ripiena con carne e patate, pollo, formaggio, formaggio e prosciutto, a seconda di gusti. Siccome non sono molto grandi, mi faccio portare un assortimento e le provo un po' tutte. Ma il piatto sfida del giorno sono le humitas. La ordino a scatola chiusa, e quando giunge sul mio piatto, non so come si mangia questa cosa. Fortunatamente, la bella buttadentro che mi ha fin'ora servito, viene in mio aiuto alla mia disperata richiesta, tra gli sguardi divertiti degli altri commensali. Devo prima sciogliere la cordicella fatta di fibre di mais, poi aprire le foglie di mais, e quindi mangiare il contenuto, che è una specie di pure di mais con formaggio e spezie. L'esperimento gastronomico valeva la pena, e guadagno simpatia dai tavoli circostanti, da dove mi giungono le consuete domande sulla mia provenienza ecc. ecc. Il mio diventa un pranzo molto partecipato, e non sarà il solo nel nord dell'Argentina, dove la socializzazione dell'esperienza gastronomica, specie nei mercati pubblici, è inevitabile. Insomma, in un modo o nell'altro divento un polo d'interesse ed attrazione, incentivato dal fatto che il mio castigliano aiuta molto l'infittirsi delle battute e delle relazioni.
A questa immagine accogliente e suggestiva della città, se ne aggiunge una meno pittoresca. Martedì 6 luglio, mentre visito la città, leggo due notizie in prima pagina nel giornale locale. Una, apparsa anche nella stampa internazionale, riguarda la prima apparizione pubblica (ed in corte) dell'ex dittatore Videla dopo il 1985, insieme ad alcuni membri della junta argentina (1976-1983), tra cui Luciano Benjamin “Cachorro” Menendez, capo del terzo corpo dell'esercito. L'altra, strettamente collegata alla prima, era la commemorazione in onore dei caduti di Salta, nel parco pubblico della città, poco distante da dove i tanti turisti si affollano per la teleferica del Cerro San Bernardo. Si trattava di undici dissidenti politici, cinque donne e sei uomini, che tradotti dal carcere di Salta a quello di Cordoba, furono brutalmente assassinati a Las Palomitas, a trenta chilometri da Salta, il 6 giugno 1976. Dopo essere stati uccisi, i loro corpi furono straziati e dispersi. La loro uccisione fu giustificata con la “ley de fuga”, che autorizzava i militari ad uccidere chiunque tentasse la fuga. Ovviamente, quando non vi era sparizione delle vittime, la “ley de fuga” veniva applicata ampiamente.
Dopo qualche giorno mi allontano da Salta alla volta di San Salvador de Jujuy. Lascio i fantasmi di Salta. Quelli del colonialismo spagnolo, che hanno dato alla città la sua pittoresca forma e bellezza, e quelli della dittatura, che hanno incupito la memoria de “La Linda”.

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