Saturday, July 24, 2010

Da Jujuy a Tilcara – From Jujuy to Tilcara (9.7.2010)















A Jujuy avevo l'intenzione di visitare con un tour di un giorno la Quebrada di Humahuaca, una specie di toccata e fuga. Fortunatamente, le agenzie cui mi rivolgo non sono in grado di offrirmi il tour giorno 9, così decido di andare a Tilcara (uno dei villaggi della Quebrada) e poi decidere il da farsi. Dico fortunatamente, perché i luoghi sono bellissimi, e meritano molto di più della breve ed affannosa visita in tour guidato. In più saranno importanti per gli incontri e le tante cose che riuscirò a vedere ed imparare in questi giorni.
La mattina mi sveglio prestissimo per prendere il “colectivo” (pullman) per Tilcara. Alle sei del mattino sono così rincoglionito, che sbaglio strada e faccio un paio di chilometri extra (18 kg di zaino in spalla, più gli altri dello zainetto con computer e macchine fotografiche), anche in quartieri “no-go”. Fortunatamente, incontro un poliziotto che, anche lui infreddolito prima dell'alba della celebrazione della festa della liberazione argentina, con pazienza mi mette sulla buona strada. Alla stazione degli autobus scopro di avere un culo bestiale: riesco ad acquistare l'ultimo biglietto per l'autobus per Tilcara. Salito sull'autobus, rettifico: il mio posto era già stato venduto ad un altro passeggero. Fortunatamente il controllore mi permette di fare il viaggio in piedi insieme ad altri tre o quattro militari e poliziotti che devono spostarsi per le celebrazioni del 9 luglio.
Arrivato a Tilcara, mi dirigo subito all'ostello, dove Martin, il gestore, mi presenta a Norma e Flor, e mi da informazioni sulle passeggiate ed i percorsi trek che posso fare senza guida. Entro le dieci sono già in marcia per visitare il Pukarà di Tilcara. Il Pukarà è l'antico villaggio pre-Inka, che si trova a circa tre chilometri dall'attuale Tilcara, che in quechua vuol dire luogo di buon cuoio. Il nome pukarà, invece, si da di solito a luoghi fortificati. Tuttavia, l'antico villaggio di Tilcara non presenta alcuna fortificazione, solo si trova su un'altura da cui si domina tutto il territorio circostante. La zona archeologica era stata scavata per la prima volta nel 1908 da due archeologhi argentini, i cui nomi però suonano tremendamente italiani: Ambrosetti e Debenedetti. Una volta realizzati gli scavi, gli archeologi hanno ricostruito molte delle abitazioni e degli edifici “pubblici” del villaggio, che erano realizzati in adobe (mattoni di fango seccati al sole) con tetti di paglia impastati con fango su un telaio di canne sostenuto da tronchi di cactus. Il villaggio comprendeva diverse abitazioni, con recinzioni nelle quali venivano rinchiusi i lama, e gli abitanti si dedicavano principalmente all'allevamento e alla coltivazione di mais. Vi era anche un cimitero ed un importante edificio di culto con un altare per i sacrifici ed ambienti ausiliari. Purtroppo non vi sono chiare informazioni sulla pratica religiosa, che però potrebbe essere relazionata al sole Inti o alla madre terra Pachamama.
Il pukarà non è una realtà di pura ricostruzione archeologica. E' anche un luogo denso di memorie storiche per gli abitanti nativi del luogo, che solo recentemente hanno visto riconosciuto i loro diritti basati sul loro status di popolazioni autoctone.
Avendo con me un enorme panino con rosbeef e maionese e due litri d'acqua, decido di non tornare a Tilcara, e di avventurarmi sul percorso trekking della gola del diavolo. Si tratta di un cammino di circa 6 km, in salita che parte da quota 2500 e probabilmente arriva a quota 3000. Sei kilometri sembrano una sciocchezza, ma non faccio i conti con la rarefazione dell'ossigeno. Così, il cammino si presenta più difficoltoso del previsto, e lungo la strada incontro alcuni turisti che desistono e tornano indietro. Io, intrepido o masochista, continuo fino alla fine. Il fatto è che il paesaggio è bellissimo. Il percorso si addentra in una valle, che a tratti si fa ripidissima (sotto di me uno strapiombo vertiginoso), con uno sfondo di montagne (cerros) multicolori. Lungo il cammino, trovo diverse scritte sulla roccia, che ricordano ai passanti che ci troviamo in territorio indigeno. Questa è terra degli indios e come tale va rispettata. In prossimità della gola del diavolo, ad una piccola baracchetta, un ragazzo dai tratti andini riscuote il modestissimo diritto di passaggio della comunita aborigena Ayllu Mama Qolla (3 pesos argentini). Con questi pochissimi soldi, la sua comunità mantiene il territorio ed i sentieri, e, anche se questo non viene detto esplicitamente, rivendica la proprietà sul territorio. La Garganta del Diablo è un canyon spettacolare, che sprofonda per qualche centinaio di metri. Non ha solo un'importanza paesaggistica e antropologica, ma è anche il luogo di una presa d'acqua per un piccolo acquedotto che fornisce i villaggi aborigeni e Tilcara. Risalendo il percorso del fiume, saltando sui sassi come Calandrino alla ricerca dell'elitropia, ed evitando di scivolare sui tratti ghiacciati, percorro uno o due chilometri fino ad una cascatella. Adesso il sole è nascosto dagli altissimi cerros, e comincia a fare freddo. Decido così di tornare.
All'ostello sono il primo degli ospiti a tornare, anche se fuori è già buio. Pochi minuti dopo Flor e Norma arrivano e mi invitano ad unirmi a loro ed altri ospiti per un asado. Non me lo faccio ripetere due volte. Ho una fame bestiale. Compriamo non so quanti chili di carne, e Javier si da da fare alla brace. Flor e Fernanda si esibiscono in balli tradizionali del nord dell'Argentina. Mi unisco con Flor al rito della compartecipazione del mate, e poi Fernanda mi istruisce sull'uso delle foglie di coca. Questa non ha nulla a che vedere con la droga ricreazionale in uso in Europa o America, ma una pianta sacra, che consumata con giudizio, aiuta gli indios andini a sopportare l'altitudine, la fatica e la fame. Celebriamo così la festa nazionale del 9 luglio. Martin dice che questa sembra una festa di compleanno. Mi lascio scappare che oggi è il mio compleanno. Cominciano i cori di cumpleaño feliz, e scorre il vino. Resteremo alzati fino a tardissimo, a parlare di noi, dei nostri viaggi, dei nostri sogni... come si fa tra vecchi amici. Viaggiare lontano avvicina al cuore degli altri.

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