Saturday, July 24, 2010

Purmamarca, Humahuaca e la Madre Terra (10-11.7.2010)











Mentre sono a Tilcara, di notte, passo molte ore a parlare con Martin. Oltre a raccontarci delle nostre esperienze, Martin mi insegna molti elementi della religione locale, come lui li ha appresi da Cacha, una guida locale di origine indigena. Così, in questo post, parlerò poco di Purmamarca, che per me ha avuto un'importanza solo paesaggistica. Le foto saranno sufficienti (vedi post precedente). Voglio, invece, soffermarmi sul culto di Pachamama nella regione andina nel nord dell'Argentina, e dei miei incontri a Humahuaca.
La festa indigena più importante di agosto è dedicata a Pachamama, la madre terra. Non si celebra in un giorno particolare, ma quando si ritiene che sia il tempo dovuto. Allora, in un giorno o notte di agosto, si fa un'offerta alla Madre per i doni che ci ha propiziato durante l'anno. A Tilcara, si scava una piccola fossa nell'orto o nel giardino della casa e si fa un'offerta in rapporto a quanto si ha avuto nel corso dell'anno. Se l'anno è stato propizio, l'offerta deve essere ricca, meno cospicua se si è ricevuto di meno. Ma sempre con rispetto, perché la Madre sarà sicuramente più generosa in futuro. L'offerta può consistere in frutta, foglie di coca, carne, qualunque cosa abbia valore e si ritenga sia giusto offrire a Pachamama per ringraziarla.
Quando lascio Tilcara, giorno 11 luglio, mi preparo ad un lungo percorso. Nel giorno mi fermerò ad Humahuaca, il villaggio più importante che da il nome alla Quebrada. Poi, nel tardo pomeriggio proseguirò fino a La Quiaca, l'ultima città argentina sul confine nord-occidentale con la Bolivia.
Quando arrivo a Humahuaca, su una piazza a poca distanza del terminale di autobus, vi è una statua dedicata a Pachamama. Come una madre, viene rappresentata seduta, con la fisionomia di una donna india dalle forme rotondeggianti, mentre allatta un bambino. Per uno che ha dimestichezza con l'arte cristiana, l'immagine non può che richiamare quella di una Vergine che allatta (Virgo Lactans). La sua immagine, invece, l'associo a quella di una donna india che incontro a Humahuaca.
Voglio, perciò, divagare parlando di questa donna di Humahuaca. Humahuaca è una località turistica di primo piano. Orde di argentini dalle città del nord, ma anche da Buenos Aires vengono qui per vedere il paesaggio, scoprire un tipico e pittoresco villaggio andino, comprare oggetti di artigianato, e fare un piccolo viaggio in un passato arcaico, che non sempre scorgono nella sua presente attualità... solo fisicamente poco più lontano e poco più nascosto. Quando salgo gli scalini che portano al monumento che ricorda la liberazione argentina dal giogo spagnolo, mi accorgo, tra le tante, di una donna indigena con una bambina, che dispone pochi oggetti di artigianato per terra. La prima cosa che mi colpisce è l'intensità dello sguardo della bambina, con gli occhi neri e profondissimi. Così mi avvicino a loro e comincio a guardare gli oggetti in vendita. Decido di comprare un piccolo pupazzo (muñeco) che rappresenta un contadino indio. Dopo che lo pago (davvero pochissimo, solo 4 pesos... se penso al lavoro che c'è dietro...), comincio a domandare alla donna del suo lavoro di artigiana. Comincia così un dialogo fatto di gesti e parole incerte, perché la donna parla pochissimo il castigliano, la sua lingua materna è il quechua. Mi spiega che lei e il marito fanno tutto in casa. Filano la lana, tessono, colorano i tessuti con colori naturali, ma anche artificiali, che comprano quando ne hanno la disponibilità economica. Mi mostrano delle sciarpe tessute a mano, ed io faccio i complimenti per il loro lavoro, ed anche per il bell'abito della figlia e il suo, entrambi tessuti da lei. Lei si inorgoglisce, e mi mostra il lavoro di tessitura sulla gonna della figlia e le applicazioni decorative, Mi dice che anche lei ha una gonna così, solo che adesso indossa dei pantaloni perché fa molto freddo. Apre una borsa e me la mostra. Le chiedo se posso fare una foto a lei e alla bambina. Lei mi sorride, accetta, e si mette in posa. Poi continuiamo a parlare. Le chiedo se vive nel villaggio, e lei mi risponde che sta un poco fuori, perché lei e il marito non potrebbero mai permettersi di vivere nel centro di Humahuaca. Capisco allora che Humahuaca sono due villaggi: uno, quello coreografico e bello dei turisti, con l'antica chiesa coloniale, i ristoranti e la fiera artigianale; l'altro, quello degli indios. Scopro che quest'ultimo si trova oltre un polveroso mercato.
Nel villaggio “di sotto”, le strade sono poco curate. Sull'unico negozio di generi vari, vi è dipinto un grande ritratto del Che. Poco più avanti, in una povera baracca, vi è una biblioteca popolare, con l'avviso di un incontro politico imminente. Le strade sono semideserte, e mi sento un po' a disagio con i miei vestiti da turista e la macchina fotografica in mano. Eppure nessuno mi molesta, o fa cenno di notarmi. E quando chiedo informazioni su di un locale per mangiare in questa parte di Humahuaca, tutti mi rispondono con gesti di cortesia e grandi sorrisi. Arrivo ad un grande mercato coperto. Dentro è quasi buio. Non tutte le bancarelle sono aperte, ed in quelle aperte non si vendono oggetti di artigianato, ma vestiti e calzature comuni. Molti oggetti sono imitazioni di griffe sportive americane, vendute a basso costo. Qui si vestono le persone più povere. Mentre curioso, mi accorgo che una donna, apparentemente anziana, sta tessendo ad un piccolo telaio. Con abilità inserisce il filo di lana, attaccato ad un grosso ago nella trama, e poi con un pettine infittisce il tessuto. Le chiedo se posso restare un po' a vederla lavorare, perché ammiro la sua abilità. Lei si mette a ridere e mi spiega che sta facendo la manica di un maglione. Mi mostra quello che lei porta, per farmi vedere come verrà ultimato, poi continuiamo a parlare d'altro. Mi chiede cosa mi ha colpito dell'Argentina, ed io le parlo dei paesaggi andini e della Quebrada. Anche lei si inorgoglisce, come l'artigiana indigena incontrata prima. Poi le dico che ho sentito parlare del ringraziamento a Pachamama, e le chiedo se lei sa qualcosa del rito. Così, mi parla della religione andina, in cui i riti precolombiani si mescolano con quelli cristiani. Il ringraziamento a Pachamama non è che uno dei culti degli andini. Mi parla della festa di Inti, il sole, a giugno. Somiglia molto a quella romana. Si celebra in quello che nell'emisfero meridionale è il solstizio d'inverno, ed è una festa per la nascita del sole. Mi parla della festa del maggio, sempre dedicata a Pachamama, e di quella dei morti che si fa a novembre. In questa occasione, si adornano le tombe con ghirlande di fiori di carta colorati. Io, li ho visti in tanti cimiteri di villaggi andini insieme alle croci. Poi mi dice che ha un figlio di ventiquattro anni. Lui, adesso, si trova a Cuba, con una borsa di studio per diventare medico. Gli manca un anno per laurearsi. Gli occhi le brillano. Lui verrà per le vacanze, ma resterà poco. La medicina è la sua passione e non vuole distrarsi troppo dal suo impegno di studio. Cuba, la sua scuola di medicina e gli indigeni delle Ande... il sottile ma forte legame tra il Che e Pachamama finalmente sembra chiarirsi.

No comments:

Post a Comment